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Music Legends - THE CLASH: dove non arriva la tecnica, arriva l'istinto

Martedì, 28 Ottobre 2014 00:52

L’arte, si sa, è immediata. Nello spettatore tocca corde che la ragione non può raggiungere. Dove non arriva la tecnica, spesso arriva l’istinto. E così un gruppetto di musicisti mediocri può inventare qualcosa che sconvolge per sempre il mondo e cambia completamente il modo di fare musica da lì in avanti. Sono i Clash, che in meno di dieci anni di carriera hanno cavalcato l’onda del punk e lasciato un segno indelebile nel mondo del rock. Questa è la loro storia.

 
 

 

LA FORMAZIONE E LA RICERCA DELL’IDENTITA’ MUSICALE

La fine degli anni ’70 è il periodo della prima grande ondata punk che attraversa l’Inghilterra. Gli anni d’oro del progressive rock, dell’accezione colta e dei fronzoli stilistici che caratterizzano tutta la musica dall’inizio della decade, sta lentamente svanendo, sostituita da suoni più duri e contenuti più immediati. Ad aprire la strada sono stati gruppi come i Sex Pistols, musicisti al massimo mediocri ma interpreti di una realtà musicale che era implosa su sé stessa e aveva generato nel pubblico il bisogno di tornare a uno stile più semplice, più graffiante.

Nella Londra di questo periodo sono tantissimi i gruppi che, seppur senza molta esperienza musicale, entrano in sala prove e tentano di tirare fuori dagli strumenti qualcosa di nuovo, che sia in grado di essere accattivante per un pubblico ormai stufo dei sofismi e dell’altezzosità di gruppi come Genesis, Pink Floyd, eccetera. Mick Jones, Paul Simonon e Keith Levene sono tra questi: Simonon è entrato nella formazione senza aver mai imbracciato uno strumento, e occupa il ruolo di bassista dopo aver ricevuto alcune lezioni da Jones. Più avanti al trio si aggiunge un cantante, Joe Strummer: anche lui non sa suonare nessuno strumento, ma ha una grande capacità di scrivere testi e una buona voce. Nel 1976, con l’ingresso di Strummer, nascono ufficialmente i Clash.

Il gruppo ha difficoltà a trovare un batterista. I componenti creano la propria musica ispirandosi soprattutto a Rolling Stones e The Who. Hanno bisogno di qualcuno che sia in grado di eseguire ritmiche molto semplici e di riempirle di enfasi personale, caratterizzandole. Il gruppo ascolta innumerevoli provini senza riuscire a trovare il candidato ideale, infastiditi dall’accezione poco sperimentale che incontrano in ogni occasione. Proprio quanto Keith Levene esce dal gruppo e le cose sembrano mettersi male, ecco che arriva il musicista giusto: Nick Heading, soprannominato “Topper”, ha il feeling giusto, e conosce diversi generi musicali. Spazia dal soul al reggae, senza disdegnare il punk e il rock classico. A sentire i componenti del gruppo, è con l’ingresso di Topper che i Clash iniziano veramente la loro strada, cominciando a coltivare l’interesse per terreni anche molto lontani dal punk.

I Clash cominciano a lavorare in sala di registrazione, e scoprono che il primo genere verso cui vogliono rivolgersi per provare a mischiare il punk con altro è il reggae. Fautore di questo indirizzamento è il bassista, Paul Simonon, che con la musica giamaicana ha un rapporto che dura fin da quando era bambino e abitava in un sobborgo londinese, dove queste ritmiche d’oltreoceano la facevano da padrone. Reinterpretando il reggae in ottica punk e cantandoci sopra col tipico accento british di Strummer, il sound del gruppo comincia lentamente a prendere una forma poliedrica e estremamente colorata.

Nel 1977 esce il primo album dei Clash. Il disco desta grande interesse in Inghilterra, suggerendo che il gruppo ha grosse potenzialità. Ad elogiarlo ci sono sia maestri del punk, come i Sex Pistols, sia leggende del reggae, come Bob Marley: entrambi colgono con piacere l’originalità e l’immediatezza con cui i Clash riescono a fare crossover tra due generi così diversi tra loro. L’album, invece, non suscita grandi reazioni negli USA, il cui pubblico si scopre ancora diffidente verso un mix così audace. La band comincia un piccolo tour nazionale e da il via ai lavori per la registrazione del secondo album.

 

IL VIAGGIO IN JAMAICA E IL LANCIO NEGLI USA

I Clash continuano a lavorare su sonorità e ritmiche reggae, dando forma sempre più concreta al loro sound sperimentale, che mischia la furia e il clamore del punk britannico con il groove caldo della Jamaica. La band viaggia verso Kingston, dove rimane per alcuni mesi a cercare ispirazione per la creazione di nuovo materiale. Un gruppetto di giovani londinesi in giubbetto jeans comincia a aggirarsi per la capitale giamaicana in cerca dei legami giusti tra il loro mondo e quello che stanno visitando.

I Clash in quel periodo lavorano sotto l’egida della CBS, che per tramite del manager della band, Bernie, sta cercando di trovare l’abbrivio giusto per lanciarli nel mercato statunitense. Bernie suggerisce di pulire un po il suono, di adattarlo a un pubblico più ampio e di renderlo radio-friendly. Si sa che i musicisti, specie quelli che amano sperimentare, reagiscono male a questo tipo di pressioni, ed è proprio questo che succede. Dopo essere tornati da Kingston (e dopo che Joe Strummer smaltisce l’epatite contratta nel viaggio) la band licenzia Bernie, sostituendolo con Sandy Pearman (di Epic Records, etichetta USA), un esperto di soul americano che fin dall’inizio si dimostra più incline ad assecondare la vena sperimentale del gruppo.

Da questo momento in poi, tra i membri della band comincia a consolidarsi un grande affiatamento, favorito dall’atteggiamento del loro manager, che riesce a combinare insieme i loro difetti e a creare un insieme caratteristico, un sound probabilmente unico, che si mette in evidenza non per le capacità tecniche, ma per l’audacia creativa. La capacità di spaziare da un genere all’altro con facilità deriva soprattutto dal batterista Topper, che è stato l’ultimo a entrare in formazione ma conferisce al gruppo un anima spinta naturalmente al cross-over, un’attitudine musicale che nasce con i Clash ed è destinata a diventare molto fertile negli anni a venire.

I Clash continuano a lavorare senza sosta per produrre il loro secondo disco, senza disdegnare qualche passatempo. Lo stile di vita dei componenti, nella fase iniziale della loro carriera, approccia alle droghe in modo divertito, più che abusandone. All’interno dello studio di registrazione, finalizzando le ultime parti del disco, costruiscono un percorso in stile ginkana utilizzando piante di marijuana, e percorrono il tracciato con mini biciclette per rilassarsi tra una registrazione e l’altra. Il rapporto con gli stupefacenti si inasprirà sempre di più nel tempo. Chi ne farà le spese è soprattutto Topper, che incontrando l’eroina entra rapidamente in un brutto tunnel.

Terminate le registrazioni, la Epic Records lancia i Clash nel mercato USA. Nel 1978 esce “Give ‘em Enough Rope”, accompagnato da una versione rielaborata del primo album. Ironicamente, solo due canzoni sono state scritte e registrate in Jamaica, tutte le altre sono state elaborate a Londra prima e dopo il licenziamento del manager Bernie. I Clash riescono a formarsi un’identità ben definita anche nel pubblico americano: una band intransigente, connotata politicamente come icona di protesta e amante del mix audace tra reggae e punk, raramente tentato fino a quel momento.

 

LONDON CALLING E IL GRANDE SUCCESSO

Il messaggio politico che i Clash vogliono inviare è chiaro: si evince da tutte le tracce che raccontano di guerre civili, degrado cittadino, capitalismo ossessivo e disparità sociale. Per tutti gli anni ’70 numerosi artisti avevano sposato cause spirituali e abbracciato correnti ideologiche anche molto particolari, trovando in molte occasioni consenso nel pubblico. La band londinese segue questa strada, ma chiarisce la sua posizione anche su molti temi concreti, riferendosi spesso a fatti realmente accaduti. Lo stile è quello de Sex Pistols, in arrogante e costante contrapposizione con il “sistema”.

Sul lato musicale, la band continua a sperimentare il mix del punk più classico con sonorità particolari. Cominciano a interessarsi al campo dell’hip-hop, del soul e dell’ R’n’B, attratti dall’insistenza di queste ritmiche e dalla possibilità di agganciarle al punk utilizzando suoni molto duri e grezzi. Il risultato è una musica genuina, che non si distingue per la fattura tecnica e la qualità del suono, ma che colpisce duro per la sua unicità. Nessuno dei componenti del gruppo è un musicista eccellente, eppure suonando insieme riescono a creare groove e atmosfere senza paragoni, diventando in breve tempo famosissimi sia in Europa che in America. Dopo aver accumulato un po’ di materiale, arriva l’ora di far uscire un nuovo album.

È il 1979 quando “London Calling” fa la sua comparsa nei negozi di dischi di tutto il mondo. I lavori di composizione e registrazione sono stati accompagnati da un nuovo manager, Guy Stevens. La sostituzione del precedente manager, in questo caso, non è dovuta a divergenze: Stevens è uno dei maggiori esperti di R’n’B degli Stati Uniti, ed è stato assunto da Epic Records per assecondare la volontà dei Clash di avvicinare quel genere. Il tentativo pare perfettamente riuscito, perché il doppio album (venduto al prezzo di uno solo per volere della band) sbanca nei negozi, e ancora oggi è ricordato dalla rivista Rolling Stones come ottavo album più importante nella storia del rock. Al suo interno ci sono delle tracce diventate leggenda, che in modo definitivo lasciano ai Clash l’accesso per l’olimpo della musica contemporanea.

Il mix catalizzato da Guy Stevens è perfetto: all’interno dell’album sono presenti tre cover di canzoni statunitensi, che i Clash espongono come pietre miliari dei filoni musicali che hanno studiato per creare il loro sound. Il resto è un coacervo di ritmiche incalzanti e testi accattivanti, manifesto di una generazione frustrata in quasi ogni senso, sia sul lato sociale che su quello artistico. Grazie ai Clash numerosi altri artisti cominciano a tentare mescole audaci tra generi distanti tra loro, dando vita al cosiddetto cross-over, un atteggiamento che anima molte band a partire dagli anni ’80, consistente nell’avvicinamento tra musica hard rock (come punk e metal) e groovy (come ska, funk, hip-hop e reggae) .

La musica dei Clash viene definita inizialmente “combat rock”, uno stile in cui la grinta supplisce alle carenze tecniche, e la capacità immaginativa si sostituisce ai perfezionismi tecnici e teorici, almeno da un lato. Dal lato della creazione, infatti, la band è costantemente tenuta sott’occhio da Guy Stevens, che sebbene li assecondi, ha molta cura dei particolari, e lavora in modo molto accurato su tante piccole cose che contribuiscono a rendere il sound dei Clash amichevole per una larga fascia di pubblico. Il risultato finale è perfetto: un mix tra caratterismo e tecnica che viene apprezzato a ogni tappa del tour statunitense che segue l’uscita dell’album.

 

L’USCITA DI SANDINISTA E LA REAZIONE CONTROVERSA DEI FAN

Nonostante il grande successo di “London Calling”, i Clash non sembrano stanchi di addentrarsi nei meandri di altri generi musicali e mischiarli col punk rock. Il desiderio più forte dei componenti della band, mai cosi affiatati e produttivi, e di affermarsi con ancora più convinzione negli USA e resto del mondo. Una sfida difficile per un gruppo così legato al territorio e alla cultura londinese. Il legame è testimoniato dai temi trattati nelle canzoni, spesso connessi a accadimenti cittadini o racconti a largo raggio sulla società inglese nel suo insieme.

La Epic Records vuole un nuovo album in breve tempo, vogliosa di cavalcare l’onda che l’uscita del precedente ha alzato, e timorosi che un’immagine così vivida e potente come quella che hanno creato possa svanire in breve tempo. Dopo un lungo tira e molla, riescono ad ottenere l’accesso agli Eletric Ladyland Studios, gli studi aperti da Jimi Hendrix nel 1970. Hanno tre settimane per registrare tutto il materiale, e sotto la supervisione dell’alacre Guy Stevens si mettono al lavoro per farcela in tempo. Il legame tra i componenti è al massimo della sua forza, e in breve tempo riescono a completare tutto entro i termini prestabiliti.

Anche se all’esterno trasmettono un’immagine ribelle e fuori dalle regole, sul lavoro i Clash sono persone estremamente serie, e si dedicano anima e corpo ai progetti che si mettono in testa, riservando ai passatempi il tempo giusto. Nei primi momenti di lavoro si crea il problema del viavai di gente che intasa lo studio e distrae chi sta lavorando in modo controproducente. La decisione della band è di creare una zona franca nell’area antistante gli ambienti di lavoro, definita da loro stessi “spliff punk”. Si tratta di uno spazio conviviale in cui i Clash accolgono ospiti e amici, e in cui nelle pause trovano il relax necessario a lavorare in modo sereno.

Nel 1980 esce “Sandinista”, un triplo album rilasciato in tutto il mondo. Al suo interno ci sono dei veri pezzi di storia, come per esempio “The magnificent seven”, considerata una delle primi canzoni in stile hip-hop fatta da artisti bianchi. Ma c’è anche tanto ska, rythm & blues, persino accenni di jazz. La reazione del pubblico è controversa: chi apprezza ancora una volta la capacità del gruppo di rinnovarsi e spingersi verso terre sconosciute, chi accoglie con una smorfia un distanziamento dal punk più forte di quanto non siano i primi album. Persino Kurt Cobain, che dal punk ha attinto a piene mani, racconterà che non gli è piaciuta la svolta che i Clash hanno preso da “Sandinista” in poi.

Il disco è seguito da un tour mondiale che comunque regala alla band bagni di folla in delirio. Le canzoni trovano molto favore non solo per le loro caratteristiche tecniche e stilistiche, ma anche per i temi trattati nei testi. La posizione ideologica presa dal gruppo è estremamente affascinante per una larga fascia di fan, in modo simile a quanto accaduto per gruppi come Led Zeppelin e Blue Oyster Cult. Il loro orientamento “sociale” è un altro elemento che li pone sotto una buona luce: come nel caso di “London Calling”, anche questo triplo album viene venduto al prezzo di uno solo.

 

L’ULTIMO ALBUM E LO SCIOGLIMENTO

Finito il tour mondiale, i Clash hanno la sensazione di doversi prendere un po di riposo. Il lavoro è stato intenso per anni, e i membri stanno diventando stanchi: capita più spesso di lasciarsi andare ai vizi in sfavore della produzione e aumentano le tensioni tra i membri. Niente da fare, perché le pressioni continuano a essere tante e le richieste di un nuovo album sono insistenti. La band decide così di rimettersi al lavoro e creare un nuovo disco, riuscendo nuovamente a ottenere l’utilizzo degli Eletric Ladyland Studios. La volontà è quella di tornare un po indietro sul percorso, e tirare fuori una serie di canzoni più propriamente punk delle precedenti.

Nel 1982, dopo due anni di gestazione, arriva “Combat Rock”, il disco con cui i Clash ricordano a tutti che la loro anima è punk, che non hanno dimenticato le loro orgini e si sentono ancora vicini alla cultura che li ha portati al successo iniziale. È la prima occasione in cui un disco della band riesce a piazzarsi nelle zone alte delle classifiche USA, e rende chiaro che oramai i Clash sono un’istituzione a livello mondiale, seguiti con interesse da simpatizzanti, appassionati e esperti del campo. “Combat Rock” è l’ultimo cd che i clash registreranno con la formazione originale: da quel momento in poi le tensioni tra i membri cominciano a inasprirsi e a compromettere in modo irreparabile i risultati in studio.

Il totale rifiuto da parte di tutti di uniformarsi alle logiche commerciali continua a compromettere l’ascesa a livello di vendite, e indispettisce etichette e manager, che cominciano ad alternarsi in maniera sempre più rapida attorno alla band. La voglia di essere liberi e sperimentare in qualunque destinazione vogliono porta i Clash a essere relegati in una specie di limbo che li mantiene famosi presso una grande platea di fan, ma li esclude dai palcoscenici più importanti e gremiti. All’interno del gruppo, poi, l’abuso di droghe e la stanchezza prendono il sopravvento, rendendo impossibile continuare a lavorare in modo continuo e sensato. La fine dei Clash è iniziata, e si consumerà in breve tempo.

Già nel 1982, Topper viene cacciato per la sua dipendenza dall’eroina, a causa della quale non è più in grado neanche di prendere le bacchette in mano. E così come il suo ingresso aveva segnato il vero inizio dei Clash, la sua uscita ne segna la fine. In tre anni si alternano due batteristi, ma i risultati non sono mai quelli sperati. La band implode su sé stessa, e nel 1983 perde anche Mick Jones, che abbandona il gruppo quando al managment torna Bernie, con il quale Jones non aveva mai avuto un buon rapporto. Nel 1985 i Clash si sciolgono definitivamente, e salvo alcuni tentativi quasi immediati di riconciliazione, non torneranno più insieme.

La storia dei Clash ha insegnato che a volte la tecnica e il talento sono meno importanti dell’impegno e della creatività. Hanno rappresentato un gruppo cardine nell’evoluzione del rock, aprendo a molti dopo di loro la possibilità di mescolare in modo audace molti generi musicali. Nel tempo, però, il sound dei Clash è sempre rimasto unico, e ha rappresentato un punto di svolta per la musica, che prima del loro arrivo viveva ancora intrappolata nei perfezionismi e nell’altezzosità del rock progressivo. Ancora oggi rappresentano una leggenda e un riferimento per molti artisti, e i grandi classici che ci hanno regalato vengono ascoltati con piacere di uomini e donne di tutte le età, semplici appassionati ma anche esperti musicisti.