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Enrico Mentana e riforma costituzionale: il talk-show “Sì o No”

Sabato, 22 Ottobre 2016 13:18

Fra meno di cinquanta giorni saremo chiamati ad esprimerci sulla riforma costituzionale per il ridimensionamento del Senato e la tv - o almeno una parte di essa - ha schierato le proprie truppe, ovvero le trasmissioni, per far fronteggiare la fazione favorevole e quella contraria alla riforma.

Mentre la Mediaset e la Rai non risultano pervenute all'appuntamento (sui giornali si vocifera di “Politics”, con Semprini che dovrebbe ritornare al vecchio mestiere di arbitro dei duelli), La7 invece da tempo sta monologando stancamente sul tema.

Gruber con “Otto e Mezzo”, Formigli con “Piazzapulita”, Merlino con “L'aria che tira” sono i contenitori che hanno dedicato maggiore spazio al confronto. Come poteva mancare all'appuntamento Enrico Mentana, il re di tutti i confronti e delle maratone televisive? Il direttore del TgLa7, infatti, ha inaugurato per l'occasione un programma – “Sì o No” – dove ogni venerdì sera si contendono i due fronti. Brunetta e Galletti, Giachetti e D'Alema, Zagrebelsky e Renzi, Violante e Montanari. Parti variegate che vedono il susseguirsi di ex politici, ministri, filosofi, tutti a difendere o condannare uno dei più grandi interventi di riforma della nostra Carta mai fatto prima: 47 articoli modificati su 139.

Ora, mettendo da parte lo sforzo di Mentana di riportare sul punto sempre e comunque la discussione fra i contendenti, il programma ha dei limiti enormi. Non tanto per colpa del conduttore, ma per la finalità che si pone: parlare del merito della riforma.
Chiunque abbia studiato un minimo di diritto costituzionale sa perfettamente che questi temi sono altamente tecnici e vanno visti considerando pure il quadro politico-istituzionale del momento, il livello di armonia sociale della collettività e tanti altri aspetti. Quindi è quasi sempre sbagliato leggere la norma e confrontarsi solo su quello perché una riforma costituzionale si riflette poi sui partiti, sulla selezione della classe dirigente, crea giurisprudenza e quindi si annida nella prassi sociale, che è un aspetto molto più difficile poi cambiare.

Esempio lampante di questo limite è stato il confronto fra Zagrebelsky e Renzi: il primo ragionava sul piano politico, sociale e morale della nuova Carta, con l’eventuale impatto che avrebbe avuto in Italia; il premier l'ha buttata sui costi, su un po' di populismo e su una insofferenza verso il professore. In due ore di trasmissione, si è poco parlato del merito ma molto della cornice e di artifizi costituzionali. E la casalinga, che sarà chiamata a votare il 4 dicembre, cosa ha capito?
Idem fra Violante e Montanari. Il primo ha mentito su alcuni aspetti – tipo che se fai eleggere direttamente i senatori, poi devi concedere loro il diritto di conferire la fiducia al governo: chi l'ha detto? - mentre il secondo è stato oggettivamente efficace, ma focalizzava tutta la discussione sulla ripercussione per la partecipazione pubblica, che interessa poco agli italiani in questo momento.

Purtroppo su questo referendum in molti si esprimeranno come robot telecomandati dagli slogan dei politici e dal desiderio di mandare via da Palazzo Chigi Matteo Renzi. In pochi avranno potuto o voluto comprendere la portata di questo appuntamento. Una esigua minoranza, purtroppo.

Simone Piloni