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La Grande Bellezza : la decadenza della Seconda Repubblica

Sabato, 08 Giugno 2013 13:23

Ancora una volta l'Italia esce sconfitta da Cannes: è dall'edizione del 2001 che il nostro paese non vince la Palma d'oro (in quel caso con il commovente La stanza del figlio di Moretti), ed è da quella del 2008 che non porta a casa neanche uno dei premi minori (in quel caso il Premio della Giuria per Il divo di Sorrentino). E forse stavolta la sconfitta non è stata meritatissima.

Ancora una volta è stato scelto a rappresentarci presso i francesi un film di Sorrentino, in questo caso la sua ultima fatica, La grande bellezza, di nuovo con protagonista il suo attore-feticcio, il bravissimo Toni Servillo (già da Oscar, anzi da David di Donatello, negli altri film del regista, Le conseguenze dell'amore e Il divo) e un cast di vecchie star protagoniste da tempo del cinema italiano. La storia è quella di un giornalista (Gep Gambardella), sessantenne pronto alla pensione, e delle giornate che trascorre nel bel mondo della medio-alta borghesia di Roma; tra festini e finte attività culturali lui e i suoi amici cercano di dimenticare quanto vuote siano in realtà le loro esistenze, vedendosi però progressivamente franare il terreno sotto i piedi e assistendo impotenti alla realtà che viene a galla: che la loro è la generazione del Sessantotto che partì tanto smaniosa di cambiamenti, ma che finì col conformarsi alle vecchie regole e anzi diventò peggiore di coloro contro i quali intendeva protestare. Gep, muovendosi tra alcuni dei più suggestivi scorci di Roma, tra testimonianze di un passato glorioso e l'illusorietà del presente (ben metaforizzata dalla scena con la giraffa all'interno delle Terme di Caracalla), prende coscienza di tutto ciò, ma, incapace di cambiare le cose, non può far altro che vivere quel poco che gli resta con i rimpianti di non aver continuato a sognare quando aveva ancora l'età per farlo....

Film decadente e a tratti felliniano, un po' in stile Dolce vita, è un impegno sociale con cui uno dei nostri migliori registi contemporanei svela le ombre della Seconda Repubblica, ridendoci sopra ma in fondo con amarezza, con rimpianto che questa grande Nazione abbia perso tutto ciò che di profondo aveva in passato, che i valori che ci hanno fatto grandi siano ormai scomparsi. In fondo è una parodia di tutti gli stereotipi della nostra società (fisici, culturali e religiosi), e una riflessione sul fatto che è proprio perdendo le nostre radici (la grande bellezza cui fa riferimento il titolo) che siamo diventati l'odierno paese in decadenza. Promosso quasi a pieni voti questo piccolo gioiellino che raccomando all'attenzione di tutti i cinefili interessati a pellicole riflessive e "impegnate". Dico quasi perché l'unica pecca di cui forse soffre il film è la durata: il film dura due ore e mezza, ma le prime due passano lisce, quasi senza accorgersene; l'ultima mezz'ora, invece, che inserisce personaggi il cui compito dovrebbe essere trasmettere la morale del film che già nelle prime due ore era apparsa chiara, fa allentare un po' l'attenzione e lascia la sensazione che il regista e gli sceneggiatori non sapessero esattamente come concludere la pellicola. Eppure tante chiusure c'erano: se avessero saputo sfruttarle, sarebbe stato perfetto. Ma 8.5/10 non è un voto da buttare via!

Adriano Carrieri