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Casey Affleck a Roma per Light of my life

Mercoledì, 06 Novembre 2019 20:49

Domenica 3 novembre è calato su Roma un altro degli assi di Alice nella Città 2019.

Parliamo del premio Oscar Casey Affleck che ha presentato Light of my life, suo esordio in un lungometraggio dopo il mockumentary “I’m still here”.

Il film di cui Affleck è interprete, regista e produttore, era l’evento di chiusura dell’edizione forse più importante di Alice, una realtà sempre più consolidata e rivolta al pubblico young/adult ma non solo ovviamente.

Insieme al talento di Falmouth c’era anche la giovane protagonista che indossa i panni di Rag, figlia di Affleck nella finzione: Anna Pniowsky al debutto.

Ambientato in un futuro distopico, Light of my life narra la storia damore paterna per una figlia da proteggere ad ogni costo ma anche una storia tra uomo e natura. Un film che è stato definito da molti anche femminista oltre che una fiaba per certi versi ancestrale. Tanti sono gli spunti ( anche il tema delle armi e della violenza) che il film di Affleck regala e che sono stati al centro della chiacchierata romana.

Allorigine dellopera, è “la mia esperienza di padre di due figli, decisamente cambiata dal mio divorzio” spiega il 44enne.

Il mio approccio parte dal racconto delle storie per la buonanotte, qualcosa con cui ogni genitore si confronta”. Al centro di Light of My Life c’è il percorso di fuga di un papà e una bimba di 11 anni dalla pandemia che colpisce il genere femminile.

“Non sapevo che tipo di film avremmo fatto, sono partito dall’esperienza, dalla voglia di ascoltare e mettermi in gioco. Quando ho iniziato a scrivere ormai diversi anni fa Light of My Life, mi è venuto in mente il lavoro fatto con Gus Van Sant sul set di Gerry. Io ero molto frustrato perché non capivo il senso del film e Gus mi spiegò che per capirlo dovevamo ‘sentire’ ciò che stava accadendo. Il senso del film ci sarebbe arrivato solo strada facendo, e l’avremmo capito solo arrivati alla fine, l’importante era che si lasciasse fare.

Questo ricordo mi ha sostenuto durante questo mio lavoro e per ciò non ne ho mai forzato i tempi. Solo chiudendo la post produzione ho afferrato completamente che che si trattava di un percorso sull’inellutabile perdita dell’innocenza e che quella ‘luce della mia vita’ si illuminava sempre più forte perché stava crescendo. In fondo il nucleo del film è imparare a lasciar andare”.

“Amo i film in cui la società è senza orpelli e al centro restano solo gli esseri umani. Non so dire perché ci sia almeno negli Stati Uniti una tendenza a realizzare film ambientati in futuri distopici, magari per un senso della tragedia imminente.”

A chi gli chiede quanto si sia ispirato al celebre The Road di Cormac McCarthy, Affleck non lo nega affatto e ricorda di quando McCarthy lo venne a a trovare su un set con sua moglie, semplicemente perché gli avevo scritto una lettera ( non una email!) invitandolo a farlo. “Anche se quella lettura mi ha ispirato ho dovuto evitare di attingervi. Ci sono tante cose da evitare se vuoi tentare di essere originale. Anche Witness mi è tornato alla mente specialmente per il modo in cui si costruisce il rapporto col ragazzo o il modo in cui si parla della violenza nella società”.

Non potrei pensare un mondo senza donne – e a chi lo chiede in chiusura, risponde che il #metoo ha cambiato tutto, a Hollywood come ovunque a livello mondiale: non si può né si deve più tornare indietro”.

L’opera di Affleck ha tra i tanti meriti ha anche quello della scoperta di un talento: quello della canadese Anna Pniowsky – “selezionata fra migliaia”e di cui certamente sentiremo parlare in futuro.

Light of my life, distribuito da Notorious Pictures sarà nei cinema dal 21 novembre.

Di Alessandro Giglio