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Contemporaneità e tragedia classica, un’unione felice?

Venerdì, 17 Marzo 2017 10:32

Giovedì 16 marzo nella sala teatrale delle Carrozzerie n.o.t. in zona Testaccio, ho avuto occasione di assistere alla prima di questo spettacolo: ‘Alkestis 2.1’ scritto e diretto da Johannes Bramante con gli attori protagonisti: Lucia Bianchi, Alessandro Lussiana, e Francesca Accardi.

Lo spazio scenico è stato utilizzato e messo a punto in maniera interessante ed accattivante: la sala del teatro, infatti, permetteva una disposizione della platea e del centro scenico uniti in un tutt’uno; le poltrone sono state disposte su tre lati rispetto al centro, utile dal punto di vista drammaturgico, adesso capiremo il perché.

La pièce è incentrata sulle vicende di questo fotografo, Pigmalione, che conosce Alcesti, una giovane modella, con la quale comincia a lavorare dopo un inizio non proprio roseo. Ma mi interrompo qui nel narrare la trama di questa pièce, anche perché non vedo il motivo di narrare un qualcosa di già detto: esatto, di già detto. La trama dell’azione scenica è ricca di citazioni, dirette ed indirette, dalla classicità a Wilde, da Baudelaire alla scuola russa, direi alquanto satura di idee. Il tutto si apre al buio, portando il pubblico ad assolutizzare il senso dell’udito, portando il cieco spettatore ad uno straniante momento dialogico fra la giovane Alcesti e Pigmalione, con un testo duro e incalzante. La scena immediatamente successiva, il dialogo del primo incontro fra i due, tenta di unire tragicità dell’antico e drammaticità dell’oggi: uno scatto dell’annichilimento dell’arte contemporanea stessa, un ovvio dipinto davanti agli occhi degli spettatori del 2017. Quello forse che lo scrittore ha voluto poi evidenziare nelle scene della follia di Pigmalione, una follia di tipo schizofrenico, duplice e truce, potrebbe essere vista come la degenerazione dell’artista maledetto: la dicotomia fra reale e irreale, fra ciò che è vero e ciò che è frutto della fantasia, ma questo lo sappiamo già. Una frase mi ha colpito: «la bellezza è sempre contaminata, solo nella morte c’è assenza di bruttezza», e questo un buon appassionato di studio dell’estetica romantica prima e naturalista poi l’aveva già capito, il punto vero è il come sia stato messo in scena. Pigmalione non riesce a creare l’attesa giusta, il momento del balzo nel vuoto non ci lascia senza fiato, come se fosse tutto già visto. Visto: attraverso gli occhi si vede il reale, attraverso la mente si vede il futuro, e Pigmalione ha messo in pratica questa massima alla lettera, come un calco contemporaneo di un dramma classico. Altro ci sarebbe da dire sui diversi modi in cui hanno cercato di portare l’attenzione su queste sindromi violente di possessione totale dell’altro, un rincorrersi reciproco nei fumi della follia artistica, una doppio viso della concezione della femme fatale che fa affondare le nostre reminiscenze nella Francia dei maledetti.

L’utilizzo delle luci e del sonoro assai discutibile: le musiche del buio sulla scena scontate proprio per la caratterizzazione stessa della pièce.

Gli effetti truci e truculenti dei momenti violenti sulla scena sono stati utilizzati forse troppo: la scena del sangue sul corpo delle fanciulle. Una catarsi non troppo velata.

Lascio al pubblico la lettura finale e la domanda iniziale. Contemporaneità e tragedia classica: un’unione felice?

Di Alberto Annarilli.