“America, me senti?”
Era il 1954 e negli Stati Uniti Dwight Eisenhower era quasi al giro di boa del suo primo mandato presidenziale che, iniziato nel ’53, interruppe un dominio democratico che durava dal 1933, quando fu eletto Franklin Delano Roosevelt, unico presidente della storia a ricoprire questa carica per più di due mandati consecutivi, arrivando addirittura a quattro.
L’Italia, con l’Alberto Sordi nazionale, sbeffeggiava proprio quel sentimento tutto italiano che guardava quasi con invidia ciò che accadeva oltreoceano, quello che fu un vero e proprio mito nei confronti dell’America, in realtà conosciuta solo indirettamente e filtrata attraverso cinema o riviste e poco per conoscenza diretta.
A distanza di più di sessant’anni, oggi conosciamo gli Stati Uniti notevolmente meglio, ne seguiamo le sorti come grande alleato italiano ed europeo, ne conosciamo le caratteristiche, ne conosciamo le personalità e i grandi eventi che non manchiamo mai di seguire: il cinema e gli Oscar, la cultura e la musica, le posizioni internazionali e l’economia, quindi l’elezione dell’uomo più importante al mondo.
Quando pensi di conoscere a sufficienza una realtà, grazie anche alle notizie che giungono direttamente da quei posti, così lontani ma ad oggi molto vicini grazie alla miriade di media e social network, ti aspetteresti un esito scontato, perché non può essere altrimenti. E invece, a distanza di pochi mesi dal Brexit, un nuovo evento sconvolge previsioni, dati statistici, sondaggi e sentimento politico di tutti quegli Stati e capi di governo che stavano osservando con estrema attenzione l’elezione del successore di Barack Obama.
“America, ma che è successo?”
Donald John Trump è il 45°presidente degli Stati Uniti, stravince, secondo alcuni, la corsa alla Casa Bianca contro Hillary Clinton, conquista la maggior parte degli Stati in bilico e ottiene un totale di 306 grandi elettori, quando ne sarebbero bastati 270 per ottenere la presidenza.
In termini assoluti, tolto il “cappotto” di Reagan nel 1984 con conseguente secondo mandato ottenuto (525 delegati contro i 13 del povero democratico Mondale che vinse solo in Minnesota e a Washington D.C.), The Donald ha fatto meglio solo di George W. Bush (271 grandi elettori nel 2000 e 286 nel 2004), ma notevolmente peggio di Bush padre (426) e dei doppi mandati di Bill Clinton (370 e 379) e Obama (365 e 332).
Una nottata elettorale in ogni caso appassionante, con tanti, troppi Stati “too close to call”, in cui regnava una profonda incertezza, ma che inizialmente non spostavano minimamente la convinzione dei tanti, media in testa, che vedevano già proiettata la prima presidente donna nello Studio Ovale.
Questa elezione rappresenta uno spartiacque del mondo che cambia, lo dicono tutti. Cambierà, forse, il modo in cui l’America si approccerà verso il suo esterno, con la volontà dichiarata del presidente eletto di isolare gli Stati Uniti rendendoli sempre meno partecipi della politica internazionale e non solo. Ma a quale Trump credere? L’anticonformista (anti-casta diremmo da queste parti) che con il suo modo di fare ha convinto i tanti americani scontenti o quello del primo discorso molto più conforme all’apparato?
È la domanda che si stanno facendo tutti, compresa la grande sconfitta Clinton e l’altro sconfitto Sanders. Quest’ultimo ha dichiarato che è pronto a collaborare con il neo presidente se attuerà politiche a favore dei lavoratori; sullo stesso tenore le dichiarazioni di Hillary: molto democratiche, poco di rottura, ciò che a conti fatti gli è mancato nel lungo percorso di diciotto mesi di campagna elettorale.
“America, e il tuo sogno?”
Se è vero com’è vero che Hillary ha spronato le donne a continuare a crederci nonostante la batosta di martedì notte, i dati elettorali indicherebbero che tra i “traditori” dell’ex-firstlady ci sono proprio il 42% delle donne americane, che avrebbero optato per Trump, così come per quest’ultimo hanno parteggiato in principal modo i meno istruiti. Senz’altro determinante, ma al contrario, l’apporto dei latinos e degli afro-americani, che non hanno spostato tanti voti quanti Hillary attendeva. E decisivo, per così dire, è anche il profilo di Trump come uomo estraneo al concetto di destra-sinistra (in passato fu finanziatore proprio dei Clinton) ad intercettare quei voti democratici che in molti Stati chiave sono diminuiti rispetto al 2008 e soprattutto al 2012. È qui la grande differenza: da una parte Clinton ha ottenuto dei voti in più, rispetto al passato, in quegli stati fortemente repubblicani, voti totalmente inutili per la sua corsa. Al tempo stesso ha perso notevolmente terreno negli stati chiave, dove numericamente i voti di Trump sono gli stessi che prese il repubblicano Romney quattro anni fa, mentre alla Clinton mancano centinaia di migliaia di quei voti decisivi per la seconda elezione, pur più faticosa, di Obama.
La preoccupazione per l’elezione di The Donald ha già suscitato proteste, arresti, addirittura pagine Facebook dedicate ai conti alla rovescia col conseguente tempo da attendere da qui alle prossime elezioni del 2020.
Il sogno americano della prima donna presidente è così rimandato, ma proprio perché di sogno si tratta, sono già partite campagne social per la candidatura di Michelle Obama, una nuova ex-firstlady che potrebbe provare a correre e soprattutto a sfruttare quel carisma mancato ad Hillary e quell’affetto per la coppia presidenziale uscente.
Ma sono ancora sogni. La realtà è che Trump si circonderà di quei repubblicani fedelissimi, come l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, manterrà la guida della Camera dei rappresentanti e del Senato e potrà attuare quelle politiche annunciate in campagna elettorale e forse parzialmente volute. Gli americani e il loro stesso sogno di benessere economico hanno deciso di affidarsi ad un miliardario di certo meno vicino alla gente di quanto egli stesso dice.
America allora “non me senti” e forse non senti nemmeno te stessa, visto che nessuno ha capito cosa stava succedendo, con i media che, sempre dopo la Brexit, non hanno capito il sentimento di una nazione ritrovandosi con sondaggi totalmente sballati.
Così, non ci resta che stare a vedere quali politiche estere attuerà il nuovo presidente, con un passaggio di consegne che Obama auspica collaborativo. Demilitarizzazione di alcune zone e presenza sempre più leggera sulle aree di crisi, con tentativi di minore ingerenza anche in stati e continenti amici, vedi Europa. Ma se è vero che Trump adotterà di nuovo una certa politica isolazionista, non sarebbe da disperarsi troppo, per l’Europa e il resto del mondo. Senza scordarsi, però, l’imprevedibilità di alcuni fenomeni, di alcuni uomini capaci di convincere grandi masse e spostare equilibri elettorali: dopo Brexit e l’elezione di Trump si può certamente guardare con più attenzione del solito non solo al referendum in Italia del prossimo 4 dicembre, ma anche alle elezioni in Olanda, Francia e Germania che si terranno nel 2017.
Perché in fondo una Nazione che elegge il primo presidente nero con largo consenso nel 2008, dimostrandosi avanti anni luce rispetto a tanti altri stati, soprattutto europei, e otto anni dopo non ripete la storia evitando di eleggere la prima donna presidente, è una Nazione totalmente incomprensibile. E con tutta questa imprevedibilità chi può scongiurare che un popolo tanto vasto quanto diverso non possa davvero guardare al 2020 sperando nell’elezione della prima presidente donna e per giunta nera?
Perché, in fondo: “America, ma chi te conosce?”
Leonardo Vacca