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Timbuktu, l’inutilità dell’estremismo

Giovedì, 05 Febbraio 2015 00:06

Il film di A.Sissako mostra perché l’estremismo che ha invaso l’Islam non può vincere.

Occupata dai fondamentalisti jihadisti, la vita quotidiana di Timbuktu (Mali) viene rapidamente stravolta. Tutto ciò che non è scritto nel Testo Sacro, tutto ciò che è semplicemente libertà d’espressione, è condannato. Il fumo, la musica, il calcio insieme a ogni cosa che possa essere giudicata effimera è rigidamente vietata. Gli abitanti musulmani, fanno fatica ad abituarsi all’aspro clima portato dagli stranieri. Poco fuori Timbuktu, in pace tra le dune sabbiose, vive Kidane con la moglie Satima e la figlia Toya. In un primo momento il pastore e la sua famiglia rimangono distaccati dalla nuova realtà instauratasi in paese. Pur ponendo umilmente la propria vita nelle mani dell’Altissimo, il destino di Kidane e di sua moglie Satima dovrà affrontare il nuovo regime dell’ulamā (pena di morte) imposta dagli invasori.

Il film di Abderrahmane Sissako,nelle sale a Roma dal 12 febbraio, non è un film facile. Per tutta la sua durata, lo spettatore è immerso in un clima surreale, aspettando che qualcuno nella poltrona affianco lo rassicuri, spiegandogli che quello che sta vedendo non è vero, non è reale. Purtroppo Sissako attinge dalla realtà. Tutto ciò a cui lo spettatore assiste impotente è frutto delle testimonianze che il regista ha raccolto in seguito alla liberazione del Mali da parte dell’Esercito Francese.

Dipingere gli jihadisti come senza scrupoli, sarebbe troppo facile. Gli estremisti, gli invasori, sono esseri umani che pur imponendo la loro visione distorta della fede con la violenza, conviti di seguire il volere di Dio e del suo Profeta, rimangono umani. Ogni giorno è scandito da nuovi divieti insiensati annunciati da una voce al megafono. Durante tutto il fim è sempre più evidente l'assoluta incoerenza dell'estremismo. Lo stesso Imam di Timbuktu si scontra con gli jihadisti per le loro inutili imposizioni e violenze. Emblematici sono un gruppo di ragazzi che simula una partita di calcio senza palla, poichè giudicato immorale, e quella di un giovane che ha subito il lavaggio del cervello, che cerca di rinnegare se stesso e il suo passato difronte ad una telecamera, in nome della Jihad. 

Tra le dune di un paesaggio che lascia senza fiato, si consuma il dramma di persone travolte da qualcosa che non riescono a capire, che cercano di mantenere una sorta di dignità. La cosa che più turba lo spettatore è che tutto questo non è più una cosa lontana, ma ogni giorno è sempre più vicina. Le scene di violenza, come la lapidazione o le frustate, mostrate dal regista, non sono mai fine a loro stesse. Il film è una dura affermazione di come l’estremismo, totalmente privo di qualsivoglia logica, non può vincere.

Giudizio finale : I paesaggi e la fotografia perfetta, passano in secondo piano difronte all’orrore descritto da Sissako in modo impeccabile. Le scene non sono mai fini a loro stesse, ma danno una chiara visione della realtà, 7/10.