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Dal 22 ottobre "Io che amo solo te", la recensione

Mercoledì, 14 Ottobre 2015 21:50

In che direzione stiamo andando? Le serie tv internazionali sono sempre più complete e non temono il comfronto con i lungometraggi. Il nostro cinema in casi come questo vanno al contrario: sembra sempre più simile alla fiction in una curva paurosamente al ribasso.

Il 22 ottobre prossimo arriverà nelle sale italiane "Io che amo solo te" per la regia di Marco Ponti, nipote del produttore Carlo Ponti, tratto dal romanzo di Luca Bianchini omonimo.  Il regista di "Santa Maradona" (ottimo esordio) è reduce dalla serie tv "Ti amo troppo per dirtelo"  e dal suo ultimo lungometraggio "Passione sinistra"datato 2013.

Ponti, autore della sceneggiatura insieme a Luca Bianchini, mette su un cast di tutto rispetto per la sua opera. I protagonisti sono la coppia Scamarcio/Chiatti, sul piano giovanile e Michele Placido/Maria Pia Calzone per quello senior.

Le storie di queste due "coppie" si intersecano nelle pieghe del film. Maria Pia Calzone ( ottima sebbene un pò forzata la sua prova in alcuni frangenti) è Ninella, la madre di Chiara ( Laura Chiatti), Michele Placido è don Mimì, padre di Damiano (Scamarcio). I ragazzi stanno per convolare a giuste nozze (giuste sembrerebbe non proprio) mentre i rispettivi genitori, con alle spalle una storia d'amore finita come non avrebbe dovuto, vivono una vita di rimpianti per ciò che avrebbe potuto essere e non è mai stato.

Tutto avviene sullo sfondo di una incantevole e leccatissima Polignano a Mare. La storia sembra sin dal principio abbastanza scontata, come lo sono pure gli sbocchi che avrà. Film sull'amore e il suo andare e venire, gioca facile sulle pulsioni più "semplici" e questo non sarebbe un male se non fosse affrontato col piglio di una delle tante fiction tv fotocopia.

Che senso ha fare un film del genere? I clichè ci sono tutti: dalla piemontese precisa e in aperto contarsto con i meridionali del caso ( leggasi Luciana Littizzetto sempre uguale a se stessa), la più piccola di casa brillante,simpatica a tutti i costi e folgorante in ogni sua battuta ( ma chi parla così nella realtà?). Ci sono pur bravi professionisti come Dario Bandiera ridotti al ruolo di pura macchietta o Enzo Salvi nel ruolo che più gli si addice (ne ha fatti altri?) ammantato da una stucchevole patina dolce amara.

Piace invece su tutti il ruolo defilato ma non troppo di una inconsueta, stramba e divertente Eva Riccobono che torna a lavorare col regista di Avigliana dopo "Passione sinistra"  

In realtà le prove d'attore non hanno sbavature nei loro protagonisti: Scamarcio fa il suo e Michele Placido gigioneggia con qualità. Il problema è alla base e più profondo. La sceneggiatura è latitante e la storia tutta è trita e approssimativa. Ah dimenticavo, poteva mancare il gay in questa storia? Indovinate come va a finire l'outing di uno dei figli di Don Mimì... dai che lo sapete già... non vi dovete sforzare nemmeno un pò.         

Viene il sospetto che se dietro la bella fotografia che ritrae ancora una volta la Puglia ( film realizzato col contributo della Regione, che fa bene così) da cartolina ci fosse altro meno charmant e in voga, ci sarebbe poco altro da mostrare! Bel cast venite gente, e domani di tutto questo, come in tanti, troppi altri casi, non resterà che poco o nulla.

La chiamavano Settima Arte.   

 

Un servizio di Alessandro Giglio