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Gus Van Sant torna al cinema con La Foresta dei Sogni

Giovedì, 14 Aprile 2016 12:11

Esce nelle sale, per la precisione il 28 Aprile, il nuovo di film di Gus Van Sant : La foresta dei sogni. Il cast d'eccezione è composto dal trittico Matthew McConaughery, Naomi Watts e Ken Watanabe

Dopo Promised Lland, Van Sant decide di rimanere nel periodo meno sperimentale della sua carriera e mantiene un rapporto scomodo con il pubblico.

Amore e perdita conducono Arthur Brennan (Matthew McConaughery) all’altro capo del mondo nella foresta fitta e misteriosa di Aokighara, nota come “la foresta dei sogni”, situata alle pendici del monte Fuji – un luogo in cui uomini e donne si recano a contemplare la vita e la morte.

Sconvolto dal dolore, Arthur penetra nella foresta e vi si perde. Lì incontra Takumi Nakamura (Ken Watanabe), un giapponese che, come lui, sembra aver smarrito la strada. Incapace di abbandonare Takumi, Arthur usa tutte le sue energie che gli restano per salvarlo.

I due intraprendono un cammino di riflessione e sopravvivenza, che conferma la voglia di vivere di Arthur e gli fa riscoprire l’amore per la moglie (Naomi Watts).

Il potenziale per un bel film sembra assicurato: un uomo sconvolto dal dolore intraprende un viaggio introspettivo nella Foresta dei Sogni e dei suicidi. Van Sant non è nuovo al rapporto uomo-morte e dopo aver  raccontato in ben altri modi il dolore e il lutto con Restless, dopo aver raccontato del viaggio e dello smarrimento degli amici con Gerry , perde di molto l’equilibrio e fa cascare gli elementi di forza del film.

Il viaggio in Giappone palesemente si mostra come un viaggio interiore cercato dal protagonista Arthur per affrontare i demoni creati dai sensi di colpa. Proprio questa sua debolezza infatti lo induce a non abbandonare Takumi, l’uomo incontrato nella foresta capisce di voler continuare a vivere e quindi uscire dall’incubo. I due, come in Gerry, stringono un forte legame, messo però non troppo a dura prova, ma che rimane un nodo cruciale, almeno per il regista. Si potrebbe però ammettere come Takumi sia un buon McGuffin su cui appoggiarsi in fase di costruzione. Il dramma della morte viene preso con la stessa leggerezza di un passerotto. Il regista non vuole violentare lo spettatore, vuole che rimanga a pensare in modo gaio al valore della vita. Di violenza c’è solo quella che il regista fa su se stesso, obbligandosi a percorrere strade facili e già tracciate, differenziandosi dai suoi film più riusciti. Cerca di avvicinarsi forse a più pubblico e di limitare la selettività del cinema che lo ha contraddistinto?

Lo sfondo del film ha un fascino incredibile. Il magnifico e fatale labirinto di Aokigahara, come il deserto nel film Gerry, “brucia la vita”. Questa volta però è una vita rivalutata che infonde fiducia in mezzo ai fantasmi che fanno perdere la strada. La nuova idea di Van Sant sta proprio qui. Non c’è solo la morte. Se qualcuno parte per Aokigahara e poi riconsidera la sua decisione di fine, bloccato in un luogo di morte, significa che c’è un’affermazione della vita. Un purgatorio che salva alcuni e condanna altri.

 Non prevalgono questa volta il silenzio e il minimalismo, ma i dialoghi e l’abbondanza di paesaggio.

Credo che il regista abbia voluto giocare molto sul tema della vita partendo da un pretesto di suicido. Purché ben catalogato come un film a parte, una parentesi nel cinema di Van Sant, il film è impacchettato bene e interpretato in maniera ottima. Le aspettative per McConaghery erano molto alte ma d’altronde veniva da un Oscar e non sempre ci si riesce a superare nella carriera. Il mio rammarico più grande rimane il non aver sfruttato a dovere l’introspezione del protagonista. Alla fine del film il pubblico non si chiede: che cosa pensa un uomo davanti alla propria sorte? Perché abbiamo dei sensi di colpa così profondi? 

Ci tiene lontani dal soggetto-protagonista mantenendo comunque una certa empatia. La valutazione del film è media, rimanendo però speranzosi in un prossimo film del Van Sant che noi tutti conosciamo.

di Luigi Colosimi