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Un amore all'altezza, recensione e trailer

Mercoledì, 07 Settembre 2016 11:47

Esce il 7 settembre "Un Amore all'altezza", il nuovo film di Laurent Tirard: è l’altezza fisica o quella morale a conquistare le donne?

Se non avete visto il trailer di Un Amore all'altezza, è difficile che possiate farvi un’idea. C’è, però, quella parola magica capace di condurvi, giustamente, dalle parti della commedia sentimentale. Quando poi partono i titoli di testa – un vero e proprio spolier – capiamo qual è la domanda di fondo del film di Laurent Tirard, conosciuto in Italia per "Le vacanze del piccolo Nicolas" (2014) e "Asterix e Obelix al servizio di "Sua maestà" (2012). Il progetto è tratto da un film argentino di successo, scritto e diretto da Marcos Carnevale, che si è chiesto se una donna ricca e attraente possa innamorarsi di uno hobbit. Scherzi a parte, i due protagonisti si conoscono grazie a una telefonata: quando poi si incontrano, lui si rivela alto poco meno di un metro e mezzo. Basteranno il suo charme e le sue virtù a conquistarla?

Il regista e il co-sceneggiatore Grégoire Vigneron (che curò anche l’originale) dimostrano una buona capacità di sintesi. Il rischio di imbattersi in una sequela di gag giocate sulla sulla statura di Alexandre lascia il posto a una storia ben congeniata di cui ogni scena risulta quasi sempre funzionale, a partire dai primi incontri fino all’entrata in scena e allo sviluppo dei personaggi secondari. Un amore all’altezza si distingue per una buona regia (la macchina da presa che segue Diane sui titoli di testa sembra un omaggio alla Jackie Brown tarantiniana e rappresenta forse la sequenza migliore), una scelta dei tempi non banale (si pensi al prologo della telefonata, capace di dirci già molto dei caratteri dei personaggi) e, nonostante la struttura narrativa sia quella della classica commedia americana, gli autori conferiscono alla storia un respiro tipicamente europeo.

Come già accennato, il pregio principale di Un Amore all'altezza è quello di non prendere la scorciatoia della risata facile. Piuttosto, la vicenda tra Diane e Alexandre si sofferma sull’avventura della donna volta a vincere o perdere la sfida di accettare la diversità. Il personaggio interpretato da Virginie Efira, infatti, rappresenta il vero protagonista della storia, che si troverà ad affrontare le classiche fasi dell’eroe. In gioco c’è il tanto agognato amore, capace di rendere Diane una persona migliore.

Tutto sommato, niente di eccezionale. Si calca forse troppo la mano su un eccesso di buoni sentimenti e il lieto fine, in fondo, riesce a coinvolgere e a ravvedere anche coloro che in prima battuta ostacolavano Diane nella sua salvifica evoluzione. Interessante la colonna sonora, in cui spicca, sul finale, l’azzeccata "The greatest di Cat Power". A rubare la scena, comunque, è proprio il mezz’uomo interpretato da Jean Dujardin, ormai consacrato a divo dopo il successo di "The Artist" (2011). Grazie all’ausilio di una controfigura, agli effetti speciali, a delle forzature di prospettiva e in qualche caso a delle scenografie grandi il doppio del normale, l’illusione del suo metro e quarantacinque appare credibile e divertente, ma soprattutto riesce a stampare sul volto dell’attore un complesso di inferiorità e una garbata malinconia davvero apprezabili, ai limiti del trasformismo.

di Paolo Di Marcelli