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I due volti di gennaio: la recensione del film

Venerdì, 10 Ottobre 2014 06:46

I romanzi di Patricia Highsmith tornano al cinema. Ecco la recensione del film diretto da Hossein Amini

Premessa: non aspettatevi un gennaio freddo, l’inverno in questione è molto mediterraneo.

Il film è tratto da un’opera minore della Highsmith ed è affidata alla regia di Hossein Amin, un volto già noto nel mondo cinematografico perché ha firmato la sceneggiatura di molte opere interessanti tra cui Drive. I due volti di gennaio è la sua opera prima dietro la macchina da presa.

Nell’Atene del ’62 i due cateti innamorati e facoltosi si scontrano con l’ipotenusa, data da un americano che fa da cicerone in quella che era una delle più grandi polis greche, formando così un triangolo di amore e di fuga uscito fuori dalla penna della scrittrice statunitense. Chester MacFarland (Viggo Mortensen) e sua moglie Colette (Kirsten Dunst) sono due americani in viaggio per l’Europa e in fuga dalla polizia che sta indagando sugli affari poco leciti dell'uomo. Una volta approdati ad Atene si affidano a Rydal (Oscar Isaac) giovane e in conflitto con il padre, rifugiatosi nella capitale greca dove si guadagna da vivere facendo da guida turistica e spennando qualche soldo ai propri compatrioti in vacanza. Il piccolo truffatore, innamoratosi a prima vista della bellissima americana, si imbatte nel tentativo di nascondere un cadavere da parte del sig. Chester. La forma geometria prende forma, i tre iniziano una fuga nei ruderi ateniesi.

Mi sembra di entrare in un mondo già visto ma superbo dove le caratterizzazioni dei personaggi si rifanno al cinema classico americano – e non parlo solo di cappelli e sigarette – mentre la regia se ne discosta di quel tanto che basta a creare il giusto equilibrio. Lo sguardo di Viggo Mortensen - penetra nella mente dello spettatore tanto quanto le atmosfere della Grecia del dopoguerra segnate dalle bellezze territoriali e da un gennaio che non sembra mai arrivare – sembra glaciale anche dopo l’omicidio accidentale che fa partire il dramma. Il film approfondisce proprio queste psicologie contorte e lo fa dalla giusta distanza facendoci pensare a come può un uomo essere così freddo e passionale anche dopo un omicidio, se pur casuale. Il crimine bagna Chester ma lui lo accetta e lotta non per sconfiggerlo ma per lasciarlo indietro come se bastasse prendere un aereo per cancellare quella macchia.

Ma Chester, inoltre, è messo in relazione con Rydal,  piccolo furfantello e saccente, riuscendo così a creare dei meccanismi ambigui, come se l’uno imparasse qualcosa dall’altro.

Rydal e Chester forse sono solo lo specchio di ciò che noi siamo. Turisti? No.

Innamorati? Non proprio.

Criminali? No.

E cosa? Siamo persone che spesso si concentrano sulle cose sbagliate tralasciando quelle priorità di cui abbiamo veramente bisogno.