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Pensieri : “It’s wonderful, it’s wonderful, good luck my Baby”

Lunedì, 29 Aprile 2013 21:30

Premetto di scrivere senza impegno: scrivo per il piacer e gusto di farlo, non sono qui per insegnarvi niente, tanto meno per fare comizi… Gli argomenti che troverete fra queste righe e quelle edite prossimamente sono messe su carta dopo che la vita di tutti i giorni, con la sua splendida ridondanza, concede di sbirciare dentro ad un occasionale squarcio spazio-temporale, attraverso cui vediamo tutto come soffuso di una luce tenera e vivace, e ci sembra che si, sarà anche una vita di affanno, ma, MIODDIO, come potrei farne a meno?

Oggi camminavo per strada.

A quanti capita? Per andare sul posto di lavoro, per andare a pagare la bolletta, magari salata meno del solito, oppure anche per il puro piacere di prendere una boccata di smog e aria così, per “staccare la spina”.

Io personalmente, portavo il cane a spasso. E ho avuto un’impressione. Ho avuto l’impressione di non ritrovarmi, di annaspare sotto una fittissima coltre di disorientamento. Una specie di preludio d’Alzheimer, o qualcosa del genere.

Arrivando al sodo: mi sono accorta, di colpo, senza averci mai riflettuto prima, probabilmente, che con i palazzi, con gli impegni, i doveri, i dolori, lo stress, lo spread, il governo, la crisi, noi uomini ci siamo scordati di una cosa, una cosa fondamentale. Sui nostri capi c’è un Cielo. Un Cielo maestoso, onnisciente e onnipresente. Ho alzato lo sguardo, senza aspettarmi di trovare niente di particolare se non uno stendino con un serie di tenute da calcio stese ad asciugare e invece, toh, ti ho trovato il Cielo. Da quand’è che stava lì?

Quante occasioni abbiamo perso con lo sguardo vuoto, chini su libri, raggomitolati su dolori o rattrappiti su una tastiera, così insoddisfatti, così persi, anche un po’ grigi, volendo. Eppure quel Cielo è sempre, sempre stato lì, ad aspettare nella sua gigantesca mole, che noi, ognuno di noi, gli concedesse uno sguardo che fosse perso, che fosse amaro o che traboccasse di bacchica allegria… E invece niente. Tutti presi dalle proprie rogne terrene, talmente sfiduciati da non pensare che, una cosa così trascendentale come il “cielo” potesse curarsi del proprio  dolore o potesse condividere la propria gioia. Invece è lì apposta. Diamine, cos’altro potrebbe aspettarsi il Cielo da noi, qui in basso? Ma soprattutto, cos’altro potremmo aspettarci noi da lui, se non appoggio? Incondizionato appoggio.

Diamoci questa opportunità; abbiamo la grandissima occasione di essere sostenuti o, per lo meno, di non essere giudicati. Facciamoci questo favore: alziamo gli occhi al Cielo, ricordiamocene di tanto in tanto. Nel più profondo sconforto come nella più folle delle felicità, occhi al Cielo, colli allungati e animo proteso. Una bella boccata d’aria, se fa parte di voi, una bella “gialla” e poi si torna con i piedi per terra. Più leggeri, sicuramente, perché dopo anche solo il primo sguardo, siamo appesi e sostenuti da quella “entità superiore”. Così “superiore” che è a portata di tutti.

Nessuna eccezione, nessuna scusa.

 

Erica D. Sivilli