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Musica

Il lato romanticamente politico di An Harbor

Domenica, 18 Dicembre 2016 12:48

Durante la puntata di Blu andata in onda venerdì 16 dicembre 2016 abbiamo intervistato Federico Pagani in arte An Harbor, cantautore piacentino che ha pubblicato da poco il suo album d'esordio “May”

 


Sulla tua pagina Facebook c'è scritto “c'è una rivoluzione che va avanti, o forse no”. A cosa ti riferisci?

«Ci sarebbe bisogno di una rivoluzione, un cambiamento, una rivalsa ma forse non è ancora in atto. Però la speranza è che succeda. Rappresenta quel lato romanticamente politico che è dentro il mio nome: la città di Ann Arbor in Michigan negli anni sessanta era la culla della New Left americana e del movimento dei diritti civili. Mi sembra un periodo storico pieno di un certo tipo di consapevolezza della massa, una presa di coscienza perché qualcosa cambi. Ma nonostante questo, non succede. Viviamo un periodo in cui ci sarebbe terreno fertile per una cosa di questo tipo, ma in realtà siamo sempre attenti al lato “lirico” e molto meno collettivo e corale.»

“Like A Demon” è il singolo estratto da “May”, il tuo album d'esordio: parlaci di questo brano.

«Dal vivo la presento sempre così: è una canzone che sembra apparentemente festaiola, in realtà è un pezzo molto malinconico che parla di quando ti rendi conto che una relazione non ha più senso.  Quando ti rendi conto che è inutile sprecare le tue energie e il tuo tempo per una persona che non sa cosa farsene. Però, invece di piangersi addosso, capisci che vale la pena alzare la testa, reagire, andartene con consapevolezza. Mettere un disco di James Brown, iniziare a sculettare, guardare quella persona in questione e dire “Guarda, forse è stato bello ma ci vediamo un'altra volta” (ride NdR).»

Parlaci di questo disco, “May”.

«E' un disco primaverile, nel senso di momento di transizione tra un momento più freddo e un momento più caldo, allegro, proprio da un punto di vista di mood personale. Parla di quando arrivi da una situazione più infelice e hai voglia di guardare avanti e lasciarti le cose brutte alle spalle, tornare a stare meglio. E' un disco di rivalsa. Dal punto di vista sonoro cerca di essere un disco “estivo”, ma in realtà molte liriche (come “Like A Demon”) hanno un punto di partenza più introspettivo, intimo e malinconico.»

Quali sono i musicisti che hanno influito sul tuo studio, la tua formazione?

«Springsteen sicuro. Non è una questione di musica in questo caso, ma proprio una questione di religione (ride NdR). Bruce è come se fosse Gesù Cristo. Dal punto di vista dell'attitudine e della scrittura mi ha influenzato tantissimo. Poi subito dopo c'è Prince: in una persona sola riunisce quasi tutta la black music (che adoro alla follia ed è quello che vorrei poter fare davvero) e soprattutto è stato un grande esempio di libertà espressiva. Ha sempre avuto il coraggio di mescolare qualsiasi tipo di suono, di arrangiamento. Ha contaminato suoni con altri suoni. Voglio essere libero di unire cose distanti tra loro, chi ascolta potrebbe dire “ma cosa sta succedendo in questo disco?” (ride NdR). Come dico sempre, non stiamo facendo nessun tipo di operazione chirurgica o costruendo ponti quindi è giusto sentirsi liberi di andare dove si vuole con un po' di incoscienza.»

C'è la voglia di portare all'estero la tua musica?

«C'è tanta voglia di andare all'estero, è sempre stato un mio sogno e con il passare degli anni lo è sempre di più. Spero di riuscirci un giorno. Forse è una conseguenza del vivere in una città di provincia e fare un genere di impronta esterofila, cantare in inglese (che poi è una cosa che mi viene naturale). Può essere un modo per uscire da questa realtà. Spero di riuscirci.»

 Francesca Marini